Trent’anni in Israele – Cesare David Bassani

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“Trent’anni in Israele” è il racconto autobiografico intenso, toccante e sincero di Cesare David
Bassani, un uomo cresciuto in una famiglia ebraica a Mantova che decide di lasciare l’Italia per
ricostruire la propria vita in Israele, con il sogno di portare anche il padre malato nella Terra
Promessa.
Attraverso un percorso lungo trent’anni, il protagonista ci guida tra le mille sfaccettature della
società israeliana, alternando episodi personali e storici, momenti drammatici e riflessioni intime.
Dalla vita nei kibbutz al servizio militare, dalla guerra del Golfo agli attentati, fino alla costruzione
della propria famiglia, Cesare affronta crisi, amori, sogni infranti e rinascite con la forza di chi non
smette mai di credere.
È un viaggio fisico e spirituale che attraversa i deserti del Medio Oriente e le contraddizioni di un
Paese giovane e complesso, ma anche i deserti interiori di un uomo in cerca di senso, identità e
pace. Una narrazione densa di umanità, memoria e speranza, che mette in luce le bellezze e le ferite
di Israele, e la resilienza di chi non ha mai smesso di amare la vita, nonostante tutto.

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Estratto

La prima domanda che mi sono fatto, arrivato alla fine di questo sconcertante e drammatico viaggio nel tempo compiuto da Cesare Bassani negli ultimi trent’anni, è: quale sarebbe il pensiero di Ben Gurion relativamente all’Israele di oggi? Nel 1918, esattamente cento anni fa il futuro primo ministro dello Stato Ebraico prese posizioni molto forti contro intellettuali radical-sionisti come Zangwill, sostenitori della “riconquista della Terra Promessa con la violenza”, dichiarando – riferendosi alla Palestina – che “nessuno avrebbe dovuto ledere i diritti dei suoi abitanti” … Vent’anni dopo, mentre in Europa il nazifascismo approntava un manuale maledetto per la distruzione totale della “razza giudaica”, gli arabi della Palestina si ribellarono contro il “mandato” locale del Regno Unito – una specie di protettorato – soprattutto perché secondo loro avvantaggiava troppo i nuovi immigrati ebrei che, grazie all’Aliyah (il ritorno, la risalita), erano rientrati numerosi nella terra d’origine. Eppure, nel 1938 fu sempre lo stesso Ben Gurion ad affermare con queste parole: “la mia soluzione alla questione degli arabi nello stato ebraico è il loro trasferimento negli altri paesi arabi…” contraddicendo il principio paradigmatico da lui esposto vent’anni prima. Ma non finisce qui: come un tormentone numerologico, dieci anni dopo, con quella che gli ebrei definirono la Guerra di Indipendenza e gli arabi la Nakbah, ovvero “la catastrofe”, ecco che l’otto (il numero dell’infinito) ritorna protagonista e straordinariamente rivoluzionario: il 14 maggio 1948 nasce lo Stato di Israele. Ed eccoci rotolati qui, nel 2018. Settant’anni dopo, con una rocambolesca scivolata verso il presente, un ragazzo intorno ai cinquant’anni di origine italiana e di famiglia ebraica inciampa dentro un diario invecchiato e leggermente sgualcito, riaprendo le finestre della memoria sui giorni indimenticabili ma volutamente celati della sua intensa, profonda e complicata vita di uomo, di padre e di marito, ma anche di figlio e nipote di una generazione che in quella Terra Promessa c’ha sperato e creduto veramente. Nel suo racconto, tra il Kinneret assolato e i chioschetti romantici di Maale Efraim, Cesare David (con un nome a metà tra il Giulio condottiero e il sopracitato Ben Gurion) si ritrova esiliato, suo malgrado, in quella terra di aculei e arnie dove “ricominciare da zero” sembra essere la missione finale e interminabile della sua esistenza terrena. Un ragazzo che diventa uomo ma che rimane bambino, che invecchia troppo presto ma che al contempo si difende dall’ingiustizia e che combatte, affiancato dalla compagna solitudine, un nemico che è forse il suo più fedele amico: l’ideale in cui ha creduto fin da piccolo. Cresciuto a Mantova, all’interno della Comunità Ebraica della quale il papà per ben dodici anni ha ricoperto il ruolo di Presidente, gode nell’ovatta e nel dolce e astratto vivere finché è proprio il padre, Italo Bassani, a perdere tutto ammalandosi e cadendo nel turbinio delle disgrazie peggiori, fino alla quasi povertà assoluta. Ha un fratello più grande, una sorella più piccola. Cesare è il predestinato. Lui, il piccolo Don Chisciotte virgiliano, vuole salvare il mondo, restituire dignità alla figura paterna (bistrattata e incompresa dai più), riaffermare il ruolo direttivo e carismatico dei Bassani, scrittori, imprenditori e tanto altro. E soprattutto riscattare sé stesso, ferito nell’orgoglio e nel sentimento.

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