Fuori è buio – Pino Volpe

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In “FUORI E’ BUIO”, il protagonista si trova in un aeroporto affollato e caotico, bloccato a causa delle gelate notturne che hanno fermato gli aeromobili. Avvolto nel suo soprabito nero, si sente come se dentro di sé ci fosse un inverno eterno. Osservando i passeggeri che cercano conforto in bevande calde, decide di prendere un caffè forte. La sua interazione con il barista, che serve con cura e un sorriso, contrasta con il gelo interiore del protagonista, creando un momento di riflessione sulla solitudine e il calore umano.

Peso 0.3 kg
Estratto

PROLOGO
…Quel lunedi’ mattino in aeroporto, le gelate della notte prima avevano costretto parecchi aeromobili a rimanere fermi in pista, ciò nonostante il brulicare dei passeggeri per le immense sale sembrava aumentare di ora in ora, ma io, me ne stavo abbottonato nel mio soprabito nero, ed avevo alzato il bavero, anche se i riscaldamenti emanavano un piacevole tepore, io non me ne curavo affatto, tutto dentro di me era un gelido inverno, osservai per un istante tutte quelle persone che, spostandosi in branchi disordinati, cercavano di consumare qualcosa di caldo.
Il mio animo era gelido, le mie ossa, il mio sangue, e decisi anch’io di prendere una bevanda, mi diressi al bar, avevo bisogno di bere un caffè forte e con un po’ di fortuna avrei assaggiato la miscela locale, i baristi erano molto attenti nel loro servizio mettevano con molta cura il piattino il cucchiaino, ed un cioccolatino a forma di chicco di caffè, con molta diligenza mi venne chiesto quale tipo di acqua desiderassi, io feci un cenno di non curanza, il barista non smise di sorridermi.
Capitolo primo
Il lungo addio
Quell’ultimo craak non presagiva nulla di buono, fuori la pioggia impazzava così forte da disturbare il mio sonno che era già precario, osservavo le valige ai piedi del mio letto, sembravano due bocche inquietanti spalancate pronte a divorare tutto quello che vi fosse scivolato dentro, io a dire la verità non le avevo dismesse, non so perché, forse non volevo veramente andarmene.
Dopo il buio…
Alle tre del mattino, le palpebre si aprirono come due tapparelle esposte ai primi raggi di una calda alba estiva, ed invece fuori sentivo il rumore incessante della pioggia, faceva molto freddo, l’inverno di quest’anno era gelido pur trovandoci geograficamente all’estremo sud, il meteo da giorni non annunciava miglioramenti, la bassa pressione che proveniva dai Balcani stringeva l’isola nella sua morsa gelata, e non mi andava di guardare la tv, mi avrebbe ulteriormente guastato la nottata, avevo una sensazione di inquietudine, qualcosa che piano piano si insinuava nel mio cervello, non saprei spiegarlo,una sorta di tarlo che rosicchiava dentro, un aculeo incandescente che penetrava la mia corteccia, trasmettendo strani impulsi a cui non riuscivo a dare un preciso ordine.
Il Dio Morfeo non voleva saperne di portarmi con sé nel paese dei balocchi… e voltandomi fissai la finestra con strana attenzione, le pupille si dilatarono, che quasi mi uscivano dalle orbite, come se avessero colto qualcosa di sinistro al di là del muro, merda, adesso avevo la netta sensazione che qualcuno là fuori al buio e sotto la pioggia battente, mi stava spiando…
Le tre e mezzo del mattino, la sensazione di angoscia mi stringeva le budella, ed avevo un disperato bisogno di andare in bagno, la vescica era contratta al limite, la tisana alle erbe che mi ero preparato prima di andare a dormire voleva essere espulsa dal mio corpo, ed io mi ostinavo a rimare inchiodato a letto, non riuscivo a scendere ero inchiodato, immobilizzato, una larva dentro la sua crisalide, al caldo ed al sicuro, ero terrorizzato.

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