L’Ombra dell’Ingiustizia: Un Anno Sottratto
Ci sono momenti nella vita in cui il tempo si ferma, momenti in cui l’esistenza viene privata di ogni certezza: la libertà, la dignità, il rispetto. Io ho vissuto l’incubo di un’ingiusta detenzione, un anno dietro le sbarre, un anno in cui il mondo esterno continuava la sua corsa, mentre il mio si congelava nell’attesa.
Sono stato catapultato in carcere, etichettato e sbattuto in prima pagina. I giornali hanno raccontato una storia parziale, una narrazione che mi dipingeva come un colpevole. Nessuno, però, ha scritto che ero lì ingiustamente. Nessuno ha raccontato la verità. Per l’opinione pubblica, ero solo un numero, un uomo da condannare prima ancora di conoscere la sua vicenda.
Eppure, la mia colpa non giustificava la prigione. La Corte Costituzionale, con una sentenza dell’11 febbraio 2020, ha sancito il mio rilascio. Avevano commesso un errore, un errore che mi aveva strappato un anno di vita. Lo Stato aveva sbagliato, ma l’assurdità non si è fermata qui: la mia richiesta di risarcimento è stata respinta due volte dalla Corte d’Appello, un’ulteriore ingiustizia che ha ignorato persino due sentenze della Cassazione a mio favore.
La Vita in Carcere: Un’Odissea di Violenza e Umanità
Varcare la soglia del carcere significa entrare in un mondo parallelo, un luogo dove il tempo scorre diversamente e dove ogni cosa, anche la più banale, diventa un lusso proibito. L’autonomia è un ricordo, ogni richiesta passa attraverso una “domandina” scritta, anche solo per un libro o un sapone. Si è trattati come bambini, ma con la freddezza riservata ai colpevoli.
Il carcere è anche violenza: risse, esplosioni di rabbia, tensioni accumulate e sfogate in brutalità. Ho visto agenti di custodia umani, sensibili, e altri freddi, maleducati, prevenuti. Alcuni ci trattavano come persone, altri come bestie.
Ogni giorno era una lotta per la sopravvivenza. Sono vivo grazie a persone come il sacerdote, lo psicologo e i volontari, unici legami con il mondo esterno, unica speranza per chi rischia di smarrirsi.
Resistere per Non Perdersi: La Battaglia Interiore
Avrei potuto soccombere all’ingiustizia, alla rabbia, ma ho scelto di reagire. Ho partecipato a ogni attività: teatro, scrittura, cineforum, lettura, corsi di teatro e cucina, yoga, incontri con sacerdoti e psicologi, lavoro in cucina. Ogni cosa era un modo per non cedere, per non farmi annientare dal carcere.
La vera battaglia, però, era interiore. Ho dovuto fare i conti con il mio passato, con l’uomo che ero prima del carcere, un uomo che viveva di apparenze, di bugie. Lì dentro, non potevo più mentire. Ho riscoperto la fede, ho pregato, ho trovato conforto nel rosario della Madonna dei Nodi, e nella preghiera ho sentito la vicinanza di Gesù. Ho imparato ad accettare la verità su me stesso, a ricostruirmi.
La Vera Prigione è Fuori: La Lotta per la Reinserzione
Una volta fuori, ho capito che la vera condanna era appena iniziata. Lo Stato ti abbandona, senza aiuti per il reinserimento, senza lavoro, senza sostegno psicologico. Sei solo, marchiato come ex detenuto, guardato con sospetto.
Ho dovuto ricostruire tutto da zero, ma in un ambiente ostile, senza amici, circondato da diffidenza. Solo la mia famiglia e la mia fede mi hanno sostenuto. Gesù è stato la mia forza, l’unico a non giudicarmi.
Il carcere mi ha lasciato cicatrici nell’anima e nel corpo, problemi di salute, invalidità. Ogni dolore è un ricordo di ciò che ho passato, ogni sguardo di pregiudizio mi riporta a quella prigione.
La Mia Battaglia per la Giustizia: Un’Ingiustizia Nell’Ingiustizia
Ho lottato per ottenere giustizia, per il risarcimento di un anno di vita sottratto. Ma la Corte d’Appello ha respinto la mia richiesta, ignorando le sentenze a mio favore. Lo Stato mi ha tolto un anno e si rifiuta di ammettere l’errore.
Vivere Nonostante Tutto: La Libertà Interiore
Vado avanti, perché ho capito che la libertà è interiore, è la capacità di pensare, di essere veri, di non aver paura di guardarsi dentro. La mia storia è la prova che anche nel buio più profondo, la luce può esistere.
La Pena Adeguata: Volontariato e Riparazione
La pena che avrei dovuto scontare per il mio reato non era la prigione, ma un percorso di volontariato. Un modo per riparare al danno causato, per restituire qualcosa alla società, per dimostrare la mia volontà di cambiamento. Il carcere, invece, ha solo aggiunto ingiustizia all’ingiustizia, lasciando cicatrici profonde e un senso di amarezza che non si cancella.
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