Estratto |
Roberto-1
Non aveva mai compreso del tutto come mai la razionale visione di un architetto dell’ottocento, ormai costretta tra il cemento di palazzi cittadini, avesse il potere di evocare l’innocente bellezza della natura tra cui era cresciuto. Però, il parco era bellissimo nel freddo pomeriggio di marzo e la sua strana magia funzionava come sempre.
Il sole, incontrastato in cielo, non riusciva a riscaldare l’aria, ma sembrava risvegliare ugualmente la natura dal lungo sonno invernale per mostrala agli avidi occhi del mondo. Seduto in fondo al viale, un uomo leggeva il giornale stringendosi in un cappotto grigio per proteggersi dal freddo. Di tanto in tanto, dalle siepi attorno alle aiuole sbucavano un bambino su una biciclettina rossa e la madre che lo seguiva a distanza fumando in silenzio.
Da una panchina sul bordo del piccolo lago, Roberto osservava ammirato l’ambiente circostante. Gli piacevano gli alberi ancora spogli che si offrivano al sole con rinnovata speranza, l’odore di terra umida tappezzata di foglie ormai in decomposizione e perfino l’algida carezza del leggero vento di pianura. Ma lo attraevano anche aspetti meno comuni di quella scena, come l’inestinguibile frenesia dei passeri, incapaci di trovare pace in un posto qualunque.
Pur vivendoci ormai da diversi anni, dentro di sé non aveva ancora deciso se la città gli piacesse davvero. Però, amava sicuramente quel posto che gli ricordava i luoghi in cui era cresciuto. Inoltre, in quella circostanza si sentiva un privilegiato, perché poteva disporre liberamente del suo tempo mentre la maggior parte delle persone era impegnata con il lavoro. D’altra parte, anche quella sensazione lo riportava a quand’era ragazzo e si nascondeva appena fuori dal paese per leggere in pace immerso nella natura. Purtroppo, ormai le occasioni per quelle piacevoli evasioni erano diventate rare, per via degli studi, di qualche saltuario impegno di lavoro e, negli ultimi anni, soprattutto della presenza di Valeria. Ma quel pomeriggio era finalmente riuscito a trovare il tempo per isolarsi e riflettere senza guidare i propri pensieri.
In pace con se stesso, cominciò a rivisitare mentalmente gli episodi più significativi della sua vita, fin da quando era arrivato in città per studiare medicina, come suo padre molti anni prima di lui. Timido e ubbidiente aveva accettato senza entusiasmo il progetto per il suo futuro formulato dai suoi genitori, peraltro senza mai discuterne davvero con lui. Però, appena iniziata la nuova avventura si era subito sentito perso e disperato. Quegli studi non gli piacevano e per questo gli sembravano ancora più duri di quanto apparentemente non fossero per i suoi compagni. Inoltre, anche gli aspetti ambientali non l’avevano aiutato. Presa in affitto una stanza presso una famiglia che non conosceva, aveva presto sperimentato la differenza tra l’ambiente ristretto e amichevole del suo paese e quello, più ampio e impersonale, della città. E anche l’università, con le sue classi molto più numerose di quelle del liceo che aveva frequentato, ma a “presenza variabile”, perciò in definitiva anonime e impersonali, non avevano favorito la nascita di amicizie significative. Infine, ci si era messo anche il costo della vita più alto di quello a cui era abituato, che limitava la possibilità di usufruire di molti diversivi della città, che lo attiravano perché gli erano mancati da ragazzo.
Roberto conservava ancora dentro di sé la sensazione di disperazione di quei primi due anni d’università, quando non riusciva a procedere con gli esami e non si sentiva a suo agio in nessun luogo: non in città, dove non riusciva a farsi veri amici, ma nemmeno più al suo paese quando vi ritornava per brevi visite alla famiglia, perché la nuova vita lontano aveva scardinato gli equilibri affettivi e sociali dell’adolescenza, allontanandolo dalle poche persone con cui avrebbe desiderato stare insieme e confidarsi.
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