Il mondo è un posto per matti – Antonio Sechi

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“Il mondo è un posto per matti” racconta la storia di Michele, un giovane sardo cresciuto in un piccolo
paese, costretto a prendersi cura delle pecore di famiglia. Il suo desiderio di cambiare vita lo porta a
partire alla ricerca di opportunità migliori, nonostante il disappunto del padre. Dopo un lungo viaggio in
nave e treno, Michele giunge a Napoli e si trova immerso in un mondo che non conosce, un mondo
lontano dal suo ambiente rurale.
Durante il suo viaggio, incontra Andrea, un altro giovane sardo con un passato travagliato legato a una
relazione proibita. Insieme decidono di partire per la Libia, sperando in una vita migliore come coloni.
Tuttavia, a causa di un errore, si ritrovano a dover combattere nella guerra civile spagnola come soldati
del regime fascista italiano, nel Corpo Truppe Volontarie.
Mentre Michele si adatta alla vita militare e trova un certo senso di appartenenza tra i suoi compagni,
Andrea lotta contro il suo rifiuto di combattere per un regime che detesta. La guerra, con la sua violenza e
le sue contraddizioni, diventa il palcoscenico per un confronto tra i due, che si trovano a fare i conti con le
proprie scelte e i propri ideali.
Il romanzo esplora temi come la lotta per la libertà, l’amicizia, il destino e le difficoltà delle persone che
cercano un cambiamento radicale nella loro vita. La guerra, con le sue brutalità e il suo senso di
disillusione, diventa un contesto che costringe i protagonisti a confrontarsi con la realtà di un mondo che
spesso sembra essere più impietoso e complesso di quanto immaginassero.

Peso 0.3 kg
Estratto

Sardegna – Dicembre 1936
Quando si svegliò, quella mattina, Michele era euforico. Non ne
ricordava il motivo, ma era eccitato per qualcosa che gli avrebbe
cambiato la vita quel giorno ma, ancora sotto l'effetto del sonno
ristoratore, non ricordava proprio cosa sarebbe successo di lì a poco.
Così si alzò dal sacco che lui chiamava letto, dov'era buttato in un
angolo della camera che divideva con due fratelli e due sorelle, nati
con cadenza biennale dopo di lui. Scostò la tenda che divideva la
camera da letto dalla cucina e là vide il borsone pronto. Si ricordò
allora il motivo di quella sensazione, il giorno era finalmente
arrivato. Partiva. Lasciava quella landa desolata e senza futuro, che
gli aveva fatto conoscere solo la fatica e patimenti. Michele viveva in
un paesino del centro nord Sardegna e da quando aveva memoria
badava alle bestie di famiglia, la quale era proprietaria di una dozzina
di pecore. Ogni suo ricordo era legato a una giornata di quel lavoro,
non aveva ricordo di giochi, divertimento o amicizia. Michele non
faceva nient'altro nella sua vita, ma adesso che il fratello era più
grande e capace a badar lui alle bestie, poteva cercare un'altra strada
e magari guadagnare qualcosa di più. Suo padre era stato sempre
contrario ad andar via dal paese a cercar fortuna, diceva che solo chi
era scontento voleva andar via, ma una volta che avevi di che
sfamarti cosa ti poteva render mai scontento? Così diceva il babbo di
Michele, forse perché ancora non aveva perdonato la sorella, che in
giovane età era fuggita con un professore continentale che insegnava
a Cagliari. In paese era stato uno scandalo. Comunque, il padre era
morto da qualche tempo, ora non c 'era più nessun ostacolo affinché
Michele potesse partire, e c 'era un bel borsone pronto a testimoniarlo
proprio là in cucina. La madre di Michele, una donna forte di
mezz'età era già intenta nelle faccende mattutine e non si accorse
subito della presenza del figlio «ciao mà buongiorno» sobbalzando
lei rispose «Michè, mi hai fatto spaventare. Ti preparavo qualcosa per
il viaggio» prese il panno ripiegato con le provviste e lo mise nella
sacca «siediti a mangiare qualcosa prima di andare» ma il figlio
aveva fretta, sembrava quasi che dovesse andar via prima di cambiar
idea, «no mamma, tra un po' passa la corriera devo andare, salutami
tu tutti, quando si svegliano. Dì a Giovanni di badare come si deve
alle bestie altrimenti quando vengo a farvi visita, vedrai cosa gli
faccio».
La madre con le lacrime agli occhi si avvicinò e abbracciò il
figlio, come se fosse ancora un bambino, lui si svincolò dolcemente,
prese la borsa e si incamminò senza girarsi indietro.
Il viaggio fino a Napoli era durato due giorni, Michele non aveva
mai visto il mare e quando, al porto di Olbia, gli dissero che avrebbe
dovuto viaggiare attraverso l'acqua per dieci ore, ebbe una brutta crisi
di panico ed era stato sul punto di rientrare in paese a piedi. Ma
l'orgoglio glielo aveva impedito e anche l'ignoranza. Eh sì
l'ignoranza, perché era quasi convinto che lo stessero prendendo in
giro, e quindi si era imbarcato fiducioso che dopo un paio d'ore
l'avrebbero buttato giù in Continente. Quando si era svegliato al
mattino, dopo parecchie ore di sonno e si era trovato ancora in mezzo
a tutta quell'acqua, senza nemmeno vedere un po' di terra dove
poggiare i piedi, si era sentito oltre che male anche stupido. Alla fine
erano arrivati a Civitavecchia che il sole era già alto e nella serata
arrivò con il treno fino a Napoli.

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