Diario di un anoressico – Andrea Bigiarelli

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Diario di un anoressico/bulimico è un racconto autobiografico intenso e coraggioso, in cui l’autore ripercorre il suo complesso rapporto con i disturbi del comportamento alimentare. Partendo dai primi segnali durante l’adolescenza, il diario esplora le dinamiche interiori, le difficoltà quotidiane e le sfide affrontate nel tentativo di riconquistare una relazione equilibrata con il cibo e con se stesso. Il testo offre uno sguardo autentico sulla malattia, sulle sue radici psicologiche e sugli effetti devastanti sul corpo e sulla mente, ma anche sulla possibilità di ricostruzione e speranza grazie al sostegno familiare e terapeutico. Un’opera di introspezione che si rivolge a chiunque voglia comprendere le profondità di questa complessa condizione.

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Estratto

I miei rapporti con i DCA, i disturbi del comportamento alimentare, sono iniziati nel 2011, con la maturità. Di ritorno dalla famosa gita del quinto anno, decisi che dovevo mettermi a dieta. Andammo a Barcellona, e nel viaggio in pullman mi portai il libro di un regime dietetico, il metodo Scarsdale, fatto di molte proteine e pochissimi carboidrati. Mia cugina, che avevo sempre preso a modello, si era liberata di alcuni libri facendo spazio in casa, fra i quali, oltre ai romanzi di Sophie Kinsella, e un manuale sul Mastino Napoletano, la sua razza di cane preferita, c’era appunto questo della dieta, con tanto di settimane, appunti, diario da tenere. Lo lessi nelle ore interminabili di viaggio e sfruttai il soggiorno in Catalogna per dare sfogo alle mie ultime mangiate. Ricordo che, dopo la prima sosta a Nantes, in Francia, il giorno dopo, arrivati a Barcellona, pranzammo in un ristorante particolare, che proponeva un buffet di qualsiasi cosa, gazpacho, macchina del gelato, cetrioli, pane, insalate varie, pasta ecc. e mi ricordo che mangiai di tutto, sapendo che quello sarebbe stato uno dei miei ultimi pasti, prima del mio regime estremamente restrittivo. Così, fra la visita a Casa Battlò, Park Guell, Casa Milà, il Barri Gotic, il museo di Picasso, facemmo una sosta al mercato della Boqueria, dove mi gustai una confezione di frutta già tagliata, prelevata da banconi dai colori sgargianti e profumati, delle vere opere d’arte.
Sul pullman di ritorno, finii di leggere il libro della dieta, sempre più convinto di intraprenderla una volta messo piede sul suolo italico. Così, dopo una settimana di gita dove non ero mai andato in bagno, iniziai ad avvertire dei crampi. Ci fermammo ad un autogrill, ma niente, non era ancora ora. Ripartimmo. Poco dopo, iniziai ad avere dolori sempre più forti. Era il momento, dovevo evacuare. Chiesi alla professoressa di storia dell’arte se fosse possibile fermarsi nuovamente ad una stazione di servizio. Mancava poco, mi dissero, per arrivare a casa, avremmo fatto tutta un’ultima tirata. Chiesi allora se potessi avere le chiavi del bagno chimico all’interno del pullman. Scesi la scaletta, aggrappandomi alla balaustra, il pullman in movimento, lo sguardo dei miei compagni di classe indagatorio. Entrai nel bagnetto, chiusi la porta, mi sedetti. Mi liberai, fragorosamente, di tutto quello che avevo mangiato e ingurgitato in quella settimana.

Tornato dal viaggio d’istruzione, mi misi sotto con lo studio, e con la dieta. Era aprile e mancavano 2 mesi all’esame di maturità. A colazione, una fetta di pane integrale, una spremuta d’arancia e un caffè. A pranzo, un uovo, del formaggio magro e una verdura, spinacio, broccolo o insalata. A cena idem. Caffè nel pomeriggio e qualora venissi preso dai morsi della fame, carote o sedano a crudo. Questa avrebbe dovuto essere la fase d’attacco per due settimane, poi ci sarebbe stata una fase di mantenimento, da alternare a quella di attacco, fino al raggiungimento del peso forma. Poi solo mantenimento. Io rimasi incastrato nella fase d’attacco per mesi e mesi.

Continuò lo studio pazzo e disperato sino alla fine della scuola. Alcuni giorni di stop e poi si sarebbe iniziato subito con gli esami. Quei giorni senza lezioni ripassai il programma di tutto l’anno di tutte le materie. Andavo a studiare a casa di mia zia in modo da essere più tranquillo.
Arrivammo al primo giorno d’esame, il tema di italiano. C’erano diverse tracce a scelta, fra tema d’attualità, di letteratura, d’argomento storico, io scelsi quello, non a caso, sulla fame, il rapporto fra uomo e cibo, trattato dal punto di vista filosofico (si partiva dall’affermazione di Feuerbach per il quale “l’uomo è quel che mangia”) e arrivando a parlare della dieta mediterranea quale miglior regime alimentare per il benessere dell’uomo. In quel tema credo che rappresentai tutto il mio malessere d’allora sull’argomento, era molto emblematico.
Ci fu poi la prova di matematica, che fu molto tosta, ma me la cavai abbastanza bene, e poi la cosiddetta terza prova, con delle domande aperte su varie materie, fra cui fisica, scienze della terra, letteratura inglese e latina. Avevo studiato molto per quelle prove, il mio fisico ne aveva risentito molto e mi ricordo che una di quelle mattine mi premiai con un cornetto alla nutella che non mangiavo da mesi. È forse lì che il mio disturbo col cibo si incontrava con la bulimia, intervallando intensi periodi restrittivi con “concessioni” di cibo gratificante e proibito, delle quali poi puntualmente mi pentivo.

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