Estratto |
Capitolo1
UN SOGNO CHE SI CHIAMA CALCIO
Un sibilo di vento accarezzava la palla, quella sfera a scacchi neri e bianchi , ogni illusione, ogni sogno era racchiuso in quell’istante.
L’interminabile, mai banale istante dell’attesa spasmodica di un fischio.
Quel fischio che avrebbe accordato ai suoi compagni designati di calciare verso la porta un calcio di punizione che si era procurato.
Voleva calciarla lui, con il suo 7 dietro la schiena in onore di un grande giocatore che fu del Manchester Utd.
Certo, non era come lui, e questo lo sapeva benissimo, ma avrebbe voluto calciarla lui.
La partita stava vedendo gli avversari condurre per 1-0.
Mancavano pochi istanti alla fine, e forse quella sarebbe stata l’ultima possibilità di segnare.
Ma perché per quel numero 7 era così importante?
Si vociferava da tempo che il campionato amatori nella sua città avrebbe chiuso i battenti proprio con l’ultima partita di campionato., e sarebbe stato l’ideale per chiudere in bellezza quella parentesi di calcio, fatta di vittorie (poche) e sconfitte (sin troppe).
Ma quando si avvicina a lui il capitano e gli chiede di poterla battere, non ci pensa su un attimo.
Lo guarda, capisce che non è solo il capitano che te lo chiede, è un compagno di squadra, di quelli che gioca solo per difendere il portiere dagli attacchi degli avversari, uno di quelli che dà l’anima in campo, uno di quelli con cui ha stretto più amicizia, e poi, vista la posizione…no vista quella avrebbe potuto dirgli di no.
La posizione era ideale per un destro, e il capitano era un mancino.
Il 7 mise giù la palla, l’arbitro inizò a contare i passi per far mettere a distanza la barriera.
Guarda il suo capitano e gli strizza l’occhio, sorridendo lascia a lui il calcio.
Ma se c’era una cosa che a lui riusciva bene era capire dove sarebbe finita la palla una volta calciata dai suoi compagni.
Si va a posizionare accanto alla barriera, mezzo passo più in gioco rispetto all’ipotetica linea del fuorigioco.
Viene tenuto per la maglia da un avversario, l’arbitro fa cenno che stà guardando.
Nella porta avversaria c’è un grande portiere, un lusso per la categoria amatori.
E’ conosciuto nel mondo della categoria, uno di cui puoi essere amico prima di entrare in campo, quando esci, ma non durante la partita, perché lui non ti conosce, non si ricorda chi sei, e pensa solo a parare per i suoi colori.
Dopo magari ci puoi fare due risate sopra, ma dopo.
Il capitano guarda la barriera, vede uno spiraglio, le gambe degli avversari ne lasciano uno proprio in direzione del palo opposto, quindi inizia a pensare di calciarla rasoterra.
Ma come ogni bella favola l’imponderabile riporta le cose al suo posto naturale.
L’arbitro chiede al portiere se è in posizione e a suo cenno di Ok, fischia.
Un bellissimo colpo sulla palla di mancino, il tempo sembra fermarsi come nei film di Hollywood. Addirittura sembra di vedere ogni espressione ad ogni respiro fatto da chi è in campo.
L’impatto con la palla dello scarpino è eccezionale. Rasoterra, verso quel piccolo pertugio che apre la via del paradiso dell’angolino basso alla sinistra del portiere. Sarebbe stato un goal memorabile, di quelli da raccontare ai nipoti.
Ma…come ha sempre detto il capitano: “La palla non è rotonda…è sferica.”
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